Nell'orazione Pro Murena del 63 a.C. Cicerone contesterà a Catilina un'affermazione che rivela il progetto politico di quest'ultimo: «La Repubblica ha due corpi: uno fragile, con una testa malferma; l'altro vigoroso, ma senza testa affatto; non gli mancherà, finché vivo».
L'analisi politica di Catilina conclude dunque che la Repubblica romana vive una separazione gravissima della società dalle istituzioni. Il corpo fragile rappresenta il corpo elettorale romano, spaccato in cricche, clientele e bande (nell'88 a.C. tutti gli italici avevano avuto la cittadinanza romana, ma per votare occorrevano tempo e risorse per recarsi a Roma, da cui la degenerazione clientelare), la testa malferma rappresentava invece il Senato, abituato al potere ereditario, colluso con i grandi proprietari terrieri, composto per lo più dall'ottusa classe del patriziato.
Il corpo vigoroso ma senza testa simboleggiava la massa di contribuenti tartassati e umiliati dal disordine politico (per ripagare i propri reduci, Silla aveva ordinato larghe confische ai piccoli possidenti), senza vera rappresentanza politica, per la quale Catilina si propone come "testa" pensante, rendendosi conto della pericolosità dell'andare contro i poteri forti.
Diversi anni dopo la morte di Catilina, nell'orazione Pro Caelio del 56 a.C. (Celio era stato amico di Catilina), Cicerone ammetterà che Catilina aveva raccolto a sé «anche persone forti e buone», offriva «anche qualche stimolo all'attività e all'impegno», e che in certi momenti era sembrato a Cicerone perfino «un buon cittadino, appassionato ammiratore degli uomini migliori, amico sicuro e leale».
Catilina, ammetterà ancora Cicerone, «era gaio, spavaldo, attorniato da uno stuolo di giovani»; per di più, «vi erano invero in quest'uomo caratteristiche singolari: la capacità di legare a sé l'animo di molti con l'amicizia, conservarseli con l'ossequio, far parte a tutti di ciò che aveva, prestar servigi a chiunque con il denaro, con le aderenze, con l'opera...»
Catilina presenta dunque i tratti di un uomo politico di successo, capace di coagulare consenso, ma malvisto dall'oligarchia degli optimates del Senato.
Catilina entra in politica nel 68 a.C., diventando pretore e governando l'Africa nei due anni seguenti.
Al suo ritorno, nel 66 a.C. si candida alla carica di console, ma viene subito perseguito per concussione ed abuso di potere, uscendone assolto; ancora nel 66 fu accusato di una cospirazione con Autronio ed un certo Publio Cornelio Silla, anche se i particolari sono poco chiari. I processi furono sufficienti a mandare a monte l'elezione a console di Catilina.
Alla scadenza del biennio consolare, nel 64 a.C. Catilina si candida nuovamente a console ma il Senato, allarmato dalla sua accresciuta popolarità, gli oppone il più brillante e famoso avvocato del momento, Cicerone. Nel discorso di candidatura In toga candida, Cicerone comincia a costruire la figura più "nera" di Catilina, insinuando che fosse incestuoso, assassino, degenerato; gli optimates, l'oligarchia senatoria, mobilitano le loro clientele a favore di Cicerone, che vince le elezioni.
Catilina, tenace, si candiderà nuovamente per le elezioni del 62 a.C., non prima di essersi guadagnato l'appoggio della plebe romana con ingegnosa demagogia, frequentando attori e gladiatori, idoli del popolino, e promettendo una redistribuzione delle terre demaniali e prede di guerra (guadagnandosi così anche l'appoggio dei veterani di Silla caduti in disgrazia) e addirittura un editto per la remissione dei debiti (detto Tabulae novae). Quest'ultima proposta allarmerà particolarmente la classe senatoria ed il suo rappresentante Cicerone, che non riusciva a non vedere in Catilina «la ferocia, nel suo sguardo il delitto, nelle sue parole la tracotanza, come se avesse già agguantato il consolato» (citazione dall'orazione Pro Murena).
All'ultimo momento Cicerone presentò al Senato delle lettere anonime che accusavano Catilina di cospirare contro la Repubblica, radunando uomini in armi attorno a Fiesole, pur non potendo provarlo. Cicerone inoltre sostenne che Catilina avesse fatto offerte a varie tribù in Gallia per assicurarsi alleati, ma la tribù degli Allobrogi avrebbe rifiutato l'offerta e l'avrebbe resa pubblica attraverso lettere a Cicerone stesso.
Con queste premesse e con un probabile broglio elettorale, nelle elezioni Catilina viene sconfitto da Murena, personaggio gradito al Senato. La questione dei brogli venne sollevata non da Catilina ma da S. Sulpicio Rufo, un altro dei non eletti, e da Catone, un uomo tutto d'un pezzo e notoriamente ostile a Catilina. Cicerone difenderà Murena dalle accuse di brogli ed attaccherà Catilina denunciandone la presunta congiura; Catilina fu costretto a una fuga in Etruria, che però definirà "esilio volontario".
Nel gennaio del 62 a.C. Catilina ed un centinaio di suoi fedelissimi furono intercettati dall'esercito romano nei pressi di Pistoria (ora Pistoia); Catilina morì nella battaglia, e i suoi furono gettati in un fiume. Tale battaglia si svolse sull'appennino pistoiese nei pressi dell'attuale abitato di Campo Tizzoro, alla confluenza del torrente Maresca nel fiume Reno (parecchi storici individuano lo scontro come Battaglia di Campo Tizzoro).
Dobbiamo a Cicerone, suo acerrimo ed eterno nemico politico, la maggior parte delle informazioni su Catilina. La posizione di Cicerone si riassume bene nell’incipit della prima delle orazioni Catilinarie, pronunciata al Senato l'8 novembre del 63 a.C., in presenza dello stesso Catilina, quando Cicerone esordisce con: Quousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra? (fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?)
La nota congiura di Catilina, che ha come fonte principale l'impianto accusatorio di Cicerone, è uno degli eventi più famosi degli ultimi turbolenti decenni della Repubblica Romana. Dalle fonti non risultano chiari gli obiettivi dei cospiratori; secondo quanto riferito da Cicerone, sarebbero stati previsti un incendio doloso ed altri danni materiali, oltre che l'assassinio di personaggi politici (in particolare Cicerone stesso). La congiura si sarebbe sviluppata attraverso incontri segreti - l'ultimo sarebbe avvenuto nella casa del senatore Leca il 6-7 novembre del 63 a.C., alla vigilia della prima Catilinaria - ma una certa Fulvia, amante di uno dei congiurati (Quinto Curio), avrebbe informato direttamente Cicerone del succedersi degli avvenimenti. Quella sera stessa due congiurati (Cornelio e Vargunteio) si sarebbero presentati a casa di Cicerone e, con il pretesto di salutarlo, avrebbero tentato di ucciderlo. Ma lui avvisato da Fulvia sarebbe scampato a quest'attentato.
Cicerone non risparmiò mezzi ed effetti speciali per mettere in cattiva luce Catilina. In attesa dell'esito della denuncia per brogli contro Murena (che avrebbe potuto assegnare regolarmente la carica di console a Catilina, che non aveva dunque motivo per mosse disperate), Cicerone si presentò al Campo Marzio circondato da una scorta e «vestendo quella mia ampia e vistosa corazza [sotto la toga], non perché essa mi proteggesse dai colpi, che io sapevo essere suo costume [di Catilina] sferrare non al fianco o al ventre ma al capo o al collo, bensì per richiamare l'attenzione di tutti gli onesti».
Il console Cicerone, cioè, dopo aver difeso il neo-console Murena dall'accusa di brogli (e allo scopo di evitare l'assegnazione della carica al candidato dell'opposizione Catilina, senza che nessuno contestasse tale conflitto d'interessi), ostenta un comportamento per indurre «gli onesti» a vedere in Catilina un uomo pericoloso, capace di uccidere il suo rivale (quella di Cicerone oggi sarebbe chiamata strategia della tensione). Ne ottiene l'emanazione del senatusconsultum ultimum: in virtù di tale delibera Cetego e Lentulo, i catilinari che non erano scappati con il loro capo (ma, rimasti a Roma, avevano tentato comunque di far sollevare la plebe e la tribù degli Allobrogi), furono portati con i loro seguaci nel carcere Mamertino dove furono strangolati uno a uno: il vulnus così inferto alla Costituzione romana fu in futuro rimproverato a Cicerone, perché si trattata di cittadini che, prima dell'esecuzione, avrebbero avuto diritto alla provocatio ad populum, la richiesta di grazia sulla quale erano chiamati a pronunciarsi i comizi elettivi delle tribù romane.
Lo storico Sallustio ha scritto un resoconto dell'intera questione circa 20 anni dopo il fatto, dal titolo De Catilinae coniuratione, senza però discostarsi significativamente dalle descrizioni di Cicerone (le differenze storiche sono per lo più sulla cronologia, probabilmente errori involontari di Sallustio dettati da un lapsus mnemonico, o forse usati per scagionare Cesare dal sospetto di aver partecipato per un periodo alla congiura).
Forse non abbiamo capito nulla
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