Da Il Manifesto:
C'è un movimento in espansione che conta già centinaia di milioni in tutto il mondo. Scriveva infatti Pierluigi Battista sul Corriere della sera (10 settembre): «La grande setta dei complottisti», che compra milioni di video e di libri contro la versione ufficiale sull'11/9, è «dilagata esercitando forza di suggestione e praticando una sorta di monopolio immaginario della controverità» che non riguarda più soltanto «sparute minoranze di maniaci». Insomma ci siamo, si tratta ormai di un movimento imponente: solo negli Usa oltre il 50 per cento dei cittadini è favorevole a una nuova commissione d'inchiesta sui fatti dell'11 settembre 2001.
Per questo Battista chiama alla «guerra culturale seria» i suoi debunkers, si chiamano così negli Usa gli «smontatori» che sono pagati per «sgretolare le invenzioni della setta complottista». Battista è perentorio: bisogna far «emergere la volontà di rispondere colpo su colpo, foto contro foto, cifra contro cifra, video contro video». Ma non è facile addestrare i debunkers, che non sono riusciti a rispondere «video contro video» alla Festa internazionale del cinema di Roma». Dove ieri e oggi è in programma, nella sezione Extra, il film Zero - Inchiesta sull'11 settembre, che contesta la versione ufficiale con le voci narranti di Lella Costa, Dario Fo e Moni Ovadia. Verrà proiettato anche domani, alle 20,30 al cinema Farnese.
Non sono stati capaci dunque di contrapporre alcunché. Almeno nei programmi annunciati finora. È andata un po' meglio con la carta stampata, perché sono riusciti a opporre «libro contro libro». Le Edizioni Piemme infatti hanno pubblicato contemporaneamente, con singolare tempismo, due volumi di saggi contrapposti sullo stesso argomento.
Il primo volume Zero, come il film, ha per sottotitolo «Perché la versione ufficiale sull'11/9 è un falso».
Nel secondo volume invece, «11/9, la cospirazione impossibile», elogiato da Battista, sono all'opera i debunkers che difendono la versione ufficiale.
Ma anche qui si sono rivelati inaffidabili: si direbbe che siano incorsi in una svista, forse un'appropriazione indebita. Perché la postfazione di Piergiorgio Odifreddi, finita nel secondo volume, sembra proprio adatta a figurare nel primo. Possibile che Battista non se ne sia accorto? Ha taciuto sconfortato o anche lui non legge i libri che recensisce?
Scrive infatti Odifreddi che applicando il test del cui prodest ai fatti dell'11 settembre, si arriva facilmente ai colpevoli morali, anche se non materiali, e cioè il vice-presidente Usa Cheney, l'ex ministro della Difesa Rumsfeld e il suo ex sottosegretario Wolfowitz. Infatti - ricorda Odifreddi - questi avevano affermato, nel Project for the New American Century e in altri documenti ufficiali, che fosse necessario «un evento catastrofico e catalizzante come una nuova Pearl Harbor» per giustificare «un aumento sostanziale della spesa per la difesa e per sfidare i regimi ostili ai nostri interessi». «E cosa meglio potrebbe soddisfare una tale descrizione - conclude Odifreddi - degli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono? A questo punto, che l'amministrazione Bush abbia attivamente organizzato gli attentati di New York e Washington, che li abbia passivamente subiti sapendo che essi sarebbero stati compiuti, o che si sia limitata a accoglierli come una benedizione celeste una volta che erano avvenuti a sua insaputa, potrebbe anche passare in secondo piano. Ciò che mi preme veramente sottolineare è che l'11 settembre le abbia fornito la scusa formale per attuare una politica che era in gestazione da almeno cinque anni, e che ha portato per ora a due guerre».
Dunque sembra proprio un intervento per il primo volume che chissà come è scivolato nel secondo. Così adesso il nome di Odifreddi campeggia in alto sulla copertina di «11/9, la cospirazione impossibile», a dare prestigio ai debunkers che difendono la versione ufficiale. Siamo certi che l'editore Piemme vorrà porre rimedio con l'autore e con i lettori al banale disguido.
Enzo Modugno
C'è un movimento in espansione che conta già centinaia di milioni in tutto il mondo. Scriveva infatti Pierluigi Battista sul Corriere della sera (10 settembre): «La grande setta dei complottisti», che compra milioni di video e di libri contro la versione ufficiale sull'11/9, è «dilagata esercitando forza di suggestione e praticando una sorta di monopolio immaginario della controverità» che non riguarda più soltanto «sparute minoranze di maniaci». Insomma ci siamo, si tratta ormai di un movimento imponente: solo negli Usa oltre il 50 per cento dei cittadini è favorevole a una nuova commissione d'inchiesta sui fatti dell'11 settembre 2001.
Per questo Battista chiama alla «guerra culturale seria» i suoi debunkers, si chiamano così negli Usa gli «smontatori» che sono pagati per «sgretolare le invenzioni della setta complottista». Battista è perentorio: bisogna far «emergere la volontà di rispondere colpo su colpo, foto contro foto, cifra contro cifra, video contro video». Ma non è facile addestrare i debunkers, che non sono riusciti a rispondere «video contro video» alla Festa internazionale del cinema di Roma». Dove ieri e oggi è in programma, nella sezione Extra, il film Zero - Inchiesta sull'11 settembre, che contesta la versione ufficiale con le voci narranti di Lella Costa, Dario Fo e Moni Ovadia. Verrà proiettato anche domani, alle 20,30 al cinema Farnese.
Non sono stati capaci dunque di contrapporre alcunché. Almeno nei programmi annunciati finora. È andata un po' meglio con la carta stampata, perché sono riusciti a opporre «libro contro libro». Le Edizioni Piemme infatti hanno pubblicato contemporaneamente, con singolare tempismo, due volumi di saggi contrapposti sullo stesso argomento.
Il primo volume Zero, come il film, ha per sottotitolo «Perché la versione ufficiale sull'11/9 è un falso».
Nel secondo volume invece, «11/9, la cospirazione impossibile», elogiato da Battista, sono all'opera i debunkers che difendono la versione ufficiale.
Ma anche qui si sono rivelati inaffidabili: si direbbe che siano incorsi in una svista, forse un'appropriazione indebita. Perché la postfazione di Piergiorgio Odifreddi, finita nel secondo volume, sembra proprio adatta a figurare nel primo. Possibile che Battista non se ne sia accorto? Ha taciuto sconfortato o anche lui non legge i libri che recensisce?
Scrive infatti Odifreddi che applicando il test del cui prodest ai fatti dell'11 settembre, si arriva facilmente ai colpevoli morali, anche se non materiali, e cioè il vice-presidente Usa Cheney, l'ex ministro della Difesa Rumsfeld e il suo ex sottosegretario Wolfowitz. Infatti - ricorda Odifreddi - questi avevano affermato, nel Project for the New American Century e in altri documenti ufficiali, che fosse necessario «un evento catastrofico e catalizzante come una nuova Pearl Harbor» per giustificare «un aumento sostanziale della spesa per la difesa e per sfidare i regimi ostili ai nostri interessi». «E cosa meglio potrebbe soddisfare una tale descrizione - conclude Odifreddi - degli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono? A questo punto, che l'amministrazione Bush abbia attivamente organizzato gli attentati di New York e Washington, che li abbia passivamente subiti sapendo che essi sarebbero stati compiuti, o che si sia limitata a accoglierli come una benedizione celeste una volta che erano avvenuti a sua insaputa, potrebbe anche passare in secondo piano. Ciò che mi preme veramente sottolineare è che l'11 settembre le abbia fornito la scusa formale per attuare una politica che era in gestazione da almeno cinque anni, e che ha portato per ora a due guerre».
Dunque sembra proprio un intervento per il primo volume che chissà come è scivolato nel secondo. Così adesso il nome di Odifreddi campeggia in alto sulla copertina di «11/9, la cospirazione impossibile», a dare prestigio ai debunkers che difendono la versione ufficiale. Siamo certi che l'editore Piemme vorrà porre rimedio con l'autore e con i lettori al banale disguido.
Enzo Modugno
2 commenti:
Battista?
qualcuno ha detto battista?
è un'epoca di comici, questa...
Blessed be
Trovo interessante questo:
non possono essere tutti embedded e un giornale come il manifesto non può permettersi di tappare troppe bocche, per sempre. We will see
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